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Roma, 2016, Maratona del Giubileo

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Il miracolo non è di essere giunto al traguardo,
ma di avere avuto il coraggio di partire.
(J. Owens)

20160409_071313Ma chi te lo fa fare?
Due anni fa, al termine della Maratona di Roma 2014, una delle prime cose che ho detto a mia moglie è stata: “Basta, io maratone non ne farò più. È stato bello ma è una gara troppo dura e impegnativa, farò solo distanze più brevi.”
E in effetti è così, la maratona è dura!
Corro da qualche anno ma non ho mai corso con estrema costanza.
Soprattutto non sono mai riuscito a seguire un programma di allenamento da cima a fondo, né per le prime maratone né per gare più brevi.
3 allenamenti a settimana per me sono tanti.
E non è colpa dei figli, della famiglia, del lavoro, dell’inverno che fa freddo… è che io sono pigro e fatico ad alzarmi presto al mattino per un ora di corsa.
Delle 16 settimane con tre allenamenti a settimana previste dalle comuni tabelle per la preparazione alla maratona, ne riesco a fare il 30-40%…
Quindi per correre la maratona, soffro.

Giubileo e attentati
Per colpa del cugino Paolo, a settembre 2015 mi sono fatto coinvolgere ancora nell’avventura maratona.
Ma come sempre mi sono allenato poco.
Aggiungiamo la fatica accumulata nel 2015, il Giubileo che ha spostato avanti la data (da metà marzo si è andati al 10 aprile) e un po di paura per gli attentati di Parigi e Bruxelles dell’ultimo periodo, e la mente che tornava all’attentato alla maratona di Boston di qualche anno fa e si arriva all’inizio di marzo col pensiero di “ma che ci vado a fare a Roma?”.

Grazie a mia moglie che mi ha incitato e sostenuto, anche sapendo di non essere pronto sono partito comunque per Roma.
Sabato mattina all’alba mi imbarco per questa nuova avventura di 3 giorni. La certezza di trovare a Tiburtina “cugino Paolo” e che sarei stato trattato come il Papa a casa sua mi fanno stare molto tranquillo. Non devo pensare a niente: ai pasti, al ritiro pettorale, agli spostamenti coi mezzi (“Che scherzi? Ci spostiamo in moto, stai sereno!”), alla sveglia, al letto.
Appunto, come il Papa: devo solo pensare a correre quei 42 km e qualcosa e a non finire lungo disteso sui sampietrini, vera croce di questa maratona, più dei saliscendi (voivendo in montagna, non esiste un allenamento in pianura per me…).

20160409_133952Il pregara
Nel mese precedente la maratona ho corso proprio poco, con nessun lunghissimo oltre i 25 km. Il giorno di pasquetta ho fatto la Mezza sul Serio, 21 km, l’unico vero “lungo” di quest’anno. Poi solo brevi uscite.
Nella settimana pregara gli amici di RunningForum (il forum degli amichetti della corsa) mi hanno aiutato a stemperare la tensione e a convincermi che era da sciocchi partire nelle mie condizioni ma che ce la potevo fare stando “conservativo”.
Faccio da manuale lo scarico carboidrati il mercoledi e il carico nei tre giorni successivi, così mi  sembra di essere più a posto con la coscienza.
Ovviamente il sabato faccio pretattica con Paolo che corre con me, so che i 6 minuti al km sono un andatura troppo elevata.

La domenica della gara
Grazie ad Alessia:-), figlia di Paolo che torna a casa alle 3 svegliando tutto il condominio, dormo molto poco…
Comunque ormai siamo in ballo.
Sveglia alle 6:30 per la colazione e i preparativi: scarpe, indumenti e cremine per piedi e capezzoli (il capezzolo sanguinante è peggio di un crampo!).
Alle 7 siamo in moto per raggiungere via Claudia dove ci incontriamo con i compagni di allenamento di Paolo.
Tra battute, cambio indumenti, pisciatine e consegna zainetti ai camion passa un ora ed è già tempo di entrare in griglia.
Siamo molto indietro ma tanto per noi non cambia molto, ci sarà comunque “traffico” nei primi chilometri, nonostante la partenza a onde: 18000 runner sono tanti…

BANG!
Si parte. Come previsto in traffico è tanto, i primi 2 km volano senza neanche riuscire a prendere il ritmo di corsa. Al primo ristoro del 5° km siamo miracolosamente ancora tutti in gruppo, io, Paolo, e il gruppetto dei suoi amici. L’amico calvo, di cui non ricordo il nome, è quello più visibile ed è grazie a lui che ci ritroviamo in mezzo a maglie di tutti i colori e gente di tutte le nazionalità.
Raggiungiamo alcune maglie arancio della squadra di Casazza, al grido di “Bergamo c’è!” scambio due parole con un ragazzo che è alla sua prima maratona, gli auguro in bocca al lupo e seguo il mio gruppetto.
Si arriva a Piramide, poi S. Paolo e si gira verso Testaccio.
Al ristoro del 10° io seguo l’amico calvo e perdo Paolo. Lui pensa che sono dietro, io penso che sia poco più avanti (lui non beve e non si ferma mai ai ristori) così ci perdiamo di vista.
Nel frattempo mi raggiungono i pacer delle 4h e 15 e mi rendo conto di essere troppo veloce. Inizio a pensare di aver sbagliato ritmo… e inizia a darmi fastidio una scarpa.
Nel fratrempo Paolo è tornato sotto, ci ritroviamo poco prima della svolta che porta su via della Conciliazione.

20160409_135326Pelle d’oca alta un dito
E svolti a destra e te lo vedi li davanti. Immenso e bellissimo. Il cupolone, la piazza, il colonnato, l’obelisco. S. Pietro.
Una visione mozzafiato. Tutti attorno a me si stupiscono. Quasi si trattiene il fiato in quel tratto. Nessuno ansima più, molti si fanno foto con S. Pietro sullo sfondo.
Chi se ne frega del crono, della fatica, del viaggio. La pelle d’oca è davvero alta un dito. Per tutti.
Credo che anche chi non è cristiano davanti a questa vista provi un brivido.
La magia dura qualche minuto, tante cose affollano la mente, pensieri, ricordi, il fiato si fa corto per il pianto, le lacrime escono e con loro tante fatiche, tanto momenti brutti e qualcuno bello.
Ma poi si svolta a destra, il colonnato scompare e la fatica torna a farsi sentire. Non siamo nemmeno a metà!

La crisi
Inizia la parte più difficile, dopo la mezza maratona (dove siamo ancora troppo veloci) ci si allontana dal centro, verso l’Olimpico, la gente diventa meno, il tifo cala un po… il timore per il famoso “muro” dei 30 km si porta dietro un velo di preoccupazione.
Al 23° inizio ad avere dolore alla gamba sinistra, e al 24° arrivano i crampi. Lo dico a Paolo, lui mi incita a non mollare, che rallentiamo, ma stiamo andando già a 6:15… non ce la faccio, gli dico che al 25° mi fermo, il crampo non mi molla.
Al segnale dei 25 saluto Paolo, lui ce la fa di sicuro, io mi fermo. Cammino, slaccio le scarpe, tiro il dannato polpaccio. Il crampo passa ma di correre non se ne parla. Cammino fino al ristoro del 25°, posto circa 100 metri dopo il segnale.
Mangio, banana, biscotti, frutta secca, un bicchiere di sali, una bottiglietta di acqua. Non vedo il pullmino degli sconfitti, quello che riporta i ritirati alla partenza. Non c’è. Penso che forse è solo al 30°. Non ho voglia di chiedere agli addetti. Decido di continuare. Cammino quasi 1 km, arrivo alla salita della Moschea, ricomincio a corricchiare e cosi alternando 1 km di corsa a qualche centinaio di metri camminando arrivo al Villaggio Olimpico, al famigerato 30°… Nel frattempo il dolore alla gamba è passato e il crampo mi ha lasciato. Mi raggiungono i pallincini blu dei pacer (delle 4h e 30? E chi si ricorda…) e vedo molti che si fanno spruzzare il ghiaccio spray sui polpacci. Io vado alla vecchia, acqua e strizzata di spugna. Il caldo inizia a farsi sentire.

Non mollo
A sto punto sto meglio e non cerco nemmeno il pullmino. Ho fatto 700 km da casa, non sto correndo solo per me, e sta cazzo di medaglia me la voglio portare a casa…
Ricomincio il mio “passo alternato”: corro fino al segnale del km poi cammino qualche decina di metri. Corro e cammino. Piano piano arriva lo spugnaggio dei 32.5, acqua in testa, acqua sulle gambe e sul collo. Corro e cammino, corro e cammino, finisce il Lungotevere, arriva il sottopasso e il ristoro del 35. Mangio, bevo, con calma ma senza fermarmi, cammino per paura che tornino i crampi. Dai cazzo, 7 km, li fai tutte le volte che esci al mattino…

Roma ti amo!
Si torna verso il centro, c’è tanta gente, tantissimo tifo. Piazza Navona, molti mangiano ai bar e ristoranti ma tantissimi sono li a incitare i maratoneti, con cartelli, trombe, fischietti, in tutte le lingue (tantissimi i francesi).
Il tifo a Roma è incredibile, credo di non aver mai fatto piu di 100 metri senza sentire incitamenti e applausi, anche dallo staff, dalla vigilanza e dai volontari dei ristori.
Si gira per il centro, a fianco di quello che son li per lo shopping e lo “struscio” domenicale.
Via del Corso… lunghissima… l’obelisco di Piazza del Popolo sembra li, da toccare, e invece non arriva mai. Io sono costretto a alternare ancora cammino e corsa, ma ormai ritirarsi non è nemmeno un opzione.
Mentre cammino un altro runner mi mette una mano sulla spalla, e mi dice in francese misto a inglese “Come on, non ti puoi fermare, non camminare, corri, ce la fai”. Io lo guardo, e non posso far altro che correre.
Corricchio e il cuore mi si riempie di gioia. Questa è la vera essenza della maratona per noi del truppone dei pettorali dal 9000 in poi.
Tutti accomunati dai sacrifici per prepararsi, dalla fatica per fare quegli oltre 40000 passi, noi che quando va bene corriamo a 5′ al km, mica come gli extraterrestri keniani che vanno a quasi 20 km all’ora.
E quando non ne hai piu e ogni passo ti costa fatica, uno sconosciuto ti si avvicina e ti dice corri… e tu corri, non hai nemmeno più le forze per dire “No, non corro, sono troppo stanco”. Stai zitto e corri.

Ce la faccio. Ce l’ho fatta.
Finalmente arriva Piazza del Popolo, l’obelisco, il Gianicolo, e lo speaker che incita “Dai non mollate, solo due chilometri e mezzo, pure mi’ madre li còre!”. Do il “cinque” a un sacco di gente, specialmente ai bambini, e i loro sorrisi sono un’altra di quelle cose che riempie il cuore del maratoneta stanco.
Via del Babbuino… all’orizzonte il Traforo, il 40° si avvicina. Cammino. Corro. Cammino. Mi supera di nuovo il francese di prima “Hey, my friend, do you need magnesium?”. Gli rispondo (in inglese, sono persino riuscito a connettere 4 parole decentemente) che sto bene, ho solo bisogno di camminare un po e poi riparto.
Mi attacco a una transenna per cercare di tirare il mio polpaccio martoriato dai crampi. Nei trenta secondi che sono rimasto li, due addetti al percorso, uno dopo l’altro, mi si avvicinano e mi chiedono se va tutto bene. Gli rispondo che sto bene, ho i crampi ma sto bene.
Tutto il personale, dallo staff lungo il percorso ai volontari e soccorritori di Croce Rossa e varie altre “Croci” e “Misericordie” è speciale e unico. Anche questo fa stare bene, pensi solo a correre con la sicurezza che al bisogno arrivano i soccorritori, a piedi o in bici.
Qualche maratoneta lungo la strada sta davvero male, lo sdraiano, lo coprono coi telini termici. Uno viene imbragato col materassino, deve essere caduto, svenuto, ha un brutto taglio in testa.
Arrivo al Traforo. Ultima fatica. Come diceva qualcuno su RunningForum, un sadico ha disegnato gli ultimi due km, col Traforo in salita e poi la discesa su via Nazionale e Piazza Venezia.
Ma alla fine del traforo c’è il cartello “41”.
Dai, è discesa.
Ed è tutto dimenticato.
La fatica, i pensieri di ritirarsi, i crampi, i dolori alle gambe e ai polpacci.
L’Altare della Patria, si svolta a sinistra, è finita.
L’ultima salitina.
I centurioni ai lati del traguardo.
Arrivo a braccia alzate, come se fossi il keniano che ha vinto.
Ma io HO vinto.
Ho faticato e sofferto e ho vinto.
Ho corso per me e per Monica, il pensiero andava a lei nei momento di fatica.
Ho corso per i miei figli.
Per quel pezzo di ferro con su scritto “Roma 2016” che una sorridente addetta mi mette al collo.
Lo porto a casa perché mi son sudato ogni atomo di questa padella brunita.

Fuori dalla realtà
Dopo il traguardo è tutto irreale. Ritiro la borsa del ristoro, bevo d’un fiato il Gatorade. Fa veramente caldo adesso, sono quasi le due.
Mi avvio al camion numero 10 per ritirare il mio zainetto “della Lazio”, sicuro che Paolo sarà li ad aspettarmi. All’addetto mostro il pettorale e gli dico”Leggi te che io non ho più la forza”. Mi risponde “Tranquillo, ‘un c’è probblema, faccio tutto io!” Volontari, vi amo! L’avevo gia detto? Eh pazienza, mai come in questa occasione Repetita Iuvant.
Come previsto Paolo è li, sdraiato in mezzo ai telini argentati abbandonati, a prendere il sole. “Aoh, sei già arrivato? Me devo da alzà, stavo così bene a pijà er sole!”
Moto.
Tiburtina.
Male tutto, scendere dalla moto dopo 15 minuti di strada è un impresa.
Due scalini sembrano la Scala Santa.
Cannelloni.
Doccia.

Ora sono in treno mentre torno a casa e scrivo.
Leggo i commenti dei maratoneti che hanno corso domenica a Roma.
Per quasi tutti la corsa è catarsi, è lasciarsi qualcosa dietro grazie alla fatica dei 42195 metri corsi.
Io non faccio eccezione.
Lascio volentieri indietro i momenti brutti, lì, incastrati tra un sampietrino e l’altro.
Vado volentieri avanti con la consapevolezza che un po’ tignoso lo sono anche io!

È finita. Ce l’ho fatta. Una pazzia ma l’ho terminata.


Archiviato in:corsa, vita quotidiana Tagged: amici, corsa, persone, sport

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